Seleziona una pagina

Tribunale Ordinario di Padova – Ufficio del Giudice Monocratico Penale – Sentenza n. 3113 del 06.12.2016 (dep. in data 19.12.2016) – Giudice dott.ssa Antonella Salvagno – imputato XY

Art. 697 c.p. – artt. 30 e 38 R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.) – art. 45 R.D. n. 635/1940 (reg. T.U.L.P.S.) – pugnale – arma bianca – oggetto comune – detenzione e porto d’armi – obbligo di denuncia all’autorità di Pubblica Sicurezza – elemento soggettivo: colpa

“Da una lettura combinata degli art. 30 R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.) e 45 R.D. n. 635/1940 (reg. T.U.L.P.S.) si evince che pugnali, stiletti e strumenti simili a questi sono annoverati per legge tra gli strumenti la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona e quindi armi proprie, soggette alla denuncia di cui all’art. 38 T. U.L.P.S., senza che se ne faccia distinzione in relazione all’uso che il detentore ne faccia (es. caccia)”.

COMMENTO A SENTENZA N. 3113/16 DEL TRIBUNALE DI PADOVA

La sentenza del Tribunale di Padova appare particolarmente interessante perché prende una posizione netta sui pugnali, quali armi proprie, tuttavia assolve l’imputato per effetto della opposta posizione del Consulente Tecnico della difesa, in forza alla Questura di Padova, che fa, in tal modo, venir meno l’elemento soggettivo della colpa.

Fatto

XY, a seguito di denuncia querela per minaccia di un vicino di casa, si trova a subire un controllo da parte dell’Arma dei Carabinieri che gli sequestrano due pugnali, un machete e due coltelli, tutti detenuti all’interno di un armadietto con alcuni fucili da caccia.

Viene, quindi, emesso decreto penale di condanna per violazione dell’art. 697 c.p. relativamente ai (soli) pugnali rivenuti.

A seguito dell’opposizione a decreto penale, l’imputato viene citato a giudizio, “perché deteneva presso la propria abitazione le seguenti armi bianche senza averne fatto denuncia all’Autorità di pubblica sicurezza: n. 1 pugnale con manico in legno della lunghezza complessiva di 23 cm, con lama appuntita di 12 cm e n. 1 pugnale con manico in plastica nero della lunghezza complessiva di 28 cm, con lama fissa appuntita, avente un lato tagliente e uno seghettato della lunghezza di 15 cm. o in legno della lunghezza”.

Diritto

Agli effetti delle contravvenzioni concernenti la prevenzione dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale (artt. 695-703 c.p.), in effetti, per armi si intendono (artt. 704 c.p e 30 T.u.l.p.s.):

  • quelle indicate nel n.1 cpv. dell’art. 585 c.p. ovvero le armi proprie, cioè quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa della persona;

  • le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.

Esistono, però, anche le armi improprie e gli oggetti comuni che possono diventare armi.

L’arma impropria, la cui definizione si ricava dall’art. 4, L. n. 110/1975, il quale ha abrogato espressamente l’art. 42 t.u.l.p.s. e – per la dottrina maggioritaria – implicitamente l’art. 80 reg. t.u.l.p.s., ad esempio è oggi identificabile sotto due aspetti:

  • idoneità ad offendere (requisito di tipo naturalistico), da valutarsi ex ante e non ex post;

  • divieto di porto senza giustificato motivo (requisito di tipo normativo).

L’oggetto comune (non arma) può essere definito dall’art. 45 reg. t.u.l.p.s., come strumento da punta e da taglio che, pur potendo occasionalmente servire all’offesa, ha una specifica e diversa destinazione, come gli strumenti da lavoro e quelli destinati ad uso domestico, agricolo, scientifico, sportivo, industriale e simili. Ne deriva che l’oggetto comune non potrà mai essere considerato arma propria non da sparo, ma solo eventualmente arma impropria.

Alla luce di questi parametri appare subito evidente che notevoli problemi interpretativi sorgono sul punto “oggetti da punta e da taglio”, i quali possono di volta in volta essere considerati “armi bianche” e quindi armi proprie diverse da quelle da sparo, “armi improprie” per la loro attitudine ad offendere, “non armi” in quanto oggetti comuni.

La Corte di Cassazione, Sez. I, nel novembre 1996, ha precisato, inoltre, che il discrimine tra arma propria e impropria non sta tanto nella sua struttura e/o nella sua idoneità all’offesa della persona, che condividono, ma nella destinazione principale, corrispondente al normale uso, da accertare con specifico riferimento a quello che rappresenta l’impiego naturale dei singoli strumenti in un determinato ambiente sociale alla stregua dei costumi, delle usanze, delle esperienze affermatisi in un dato momento storico.

***

Conclusioni:

Nel caso patavino, il Consulente Tecnico della difesa, in forza alla Questura di Padova, ufficio armi, in maniera condivisibile, ha escluso che i pugnali oggetto del capo di imputazione siano armi perché hanno normale uso nella caccia, anche se ha aggiunto che l’importante è che non vengano portati fuori dalla propria abitazione. In altri termini li considera oggetti comuni, che potrebbero diventare armi improprie.

Il Giudice ha considerato, invece, i pugnali – per definizione – armi proprie non da sparo, che per l’uso potevano (erroneamente) essere considerati oggetti comuni ed ha assolto l’imputato, perchè anche se avesse chiesto all’autorità di riferimento se vi era obbligo di denuncia avrebbe ricevuto (erroneamente) risposta negativa.